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autore
brano
 
Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), II, 26
 
originale
 
[26] Commodum noctis indutias cantus perstrepebat cristatae cohortis. Tandem expergitus et nimio pavore perterritus cadaver accurro et admoto lumine revelataque eius facie rimabar singula, quae cuncta convenerant; ecce uxor misella flens cum hesternis testibus introrumpit anxia et statim corpori superruens multumque ac diu deosculata sub arbitrio luminis recognoscit omnia, et conversa Philodespotum requirit actorem. Ei praecipit bono custodi redderet sine mora praemium, et oblato statim: "Summas" inquit "tibi, iuvenis, gratias agimus et hercules ob sedulum istud ministerium inter ceteros familiares dehinc numerabimus." Ad haec ego insperato lucro diffusus in gaudium et in aureos refulgentes, quos identidem in manu mea ventilabam, attonitus: "Immo," inquam "domina, de famulis tuis unum putato, et quotiens operam nostram desiderabis, fidenter impera." Vix effatum me statim familiares omen nefarium exsecrati raptis cuiusque modi telis insecuntur; pugnis ille malas offendere, scapulas alius cubitis inpingere, palmis infestis hic latera suffodere, calcibus insultare, capillos distrahere, vestem discindere. Sic in modum superbi iuvenis Aoni vel Musici vatis Piplei laceratus atque discerptus domo proturbor.
 
traduzione
 
Gi? il canto dei galli crestati riempiva del suo strepito la quiete notturna. Finalmente io mi svegliai e pieno di spavento, afferrato il lume, mi precipitai sul morto a scoprirgli la faccia per accertarmi che ogni cosa fosse al suo posto. In quel mentre anche l'inconsolabile moglie entr? piangendo, seguita dai testimoni del giorno prima e, ansiosa, si gett? su quel corpo baciandolo a lungo e, al lume della lampada, controllandoselo tutto. Poi, voltandosi e cercando Filodespoto, l'amministratore, gli ordin? di pagare senza indugio il prezzo convenuto a un guardiano cos? in gamba. E mentre io venivo soddisfatto all'istante, ella si profondeva in mille ringraziamenti per il mio zelante servizio, assicurandomi che da quel momento mi considerava uno della famiglia. Dal mio canto gongolavo dalla gioia per il guadagno insperato e, ancora incredulo, facevo tintinnare nella mano quelle monete d'oro sonanti. ?Ma figurati, sono io che mi considero ormai un tuo schiavo; anzi ogni volta che ti servir? l'opera mia, comandami pure.? M'erano appena uscite di bocca queste parole che tutti quelli della famiglia, imprecando al malaugurio, mi si avventarono addosso con tutto quello che capit? loro fra le mani: uno mi moll? un pugno in faccia, un altro mi prese a gomitate nella schiena, un terzo si mise a darmi gran manate nei fianchi, chi a sferrarmi calci, chi a tirarmi per i capelli, chi a strapparmi i vestiti, fino a che mi buttarono fuori tutto lacero e a pezzi, come il bell'Aonio o il vate Orfeo.
 

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